Verso sera, sul campo dei kazachi e dei chirghisi, che era un po’ in disparte rispetto agli altri, si addensarono le nuvole. L’umore festoso di Mario Curnis precipitò sino al livello ‘tempesta di media intensità’ e per gli altri diventò difficile trovare un luogo sicuro. L’assordante silenzio nella piccola tenda dell’“alloggio ufficiali” si caricò di tensione fino al limite, prima di esplodere in un rovescio musicale di parole italiane tonanti, interrotte ogni tanto da imprecazioni italiane non meno musicali. Facendo appello al diritto internazionale dell’inviolabilità personale, i chirghisi Grekov e Gubaev levarono le ancore da un ormeggio così tempestoso verso la ben più accogliente mensa, prendendo con sé anche il proprio céco. E quando la tempesta montò fino a diventare uragano, nell’alloggio ufficiali si trovarono a essere parti lese tutti coloro che avevano a che fare con il programma Pardo delle Nevi.
In qualche modo Mario era venuto a sapere dei soldi in più per l’elicottero.
Considerava il denaro guadagnato con estremo scrupolo, sia che fosse suo o di altri, e non tollerava quando si prendevano le cose a sbafo. E ancor meno tollerava gli scrocconi, i lazzaroni e in generale le persone che non eseguivano il lavoro assegnato. Perciò considerò apertamente i tremila e cinquecento dollari pagati extra all’aviazione tagika come un affronto personale. E il sangue italiano non si smentì, mettendosi a ribollire.
Come una belva braccata camminava avanti e indietro per la tenda, senza riuscire a trovare una via d’uscita per la sua ira.
– Perché? Perché glieli avete dati? – gridava contro Simone e Denis, mescolando parole inglesi e italiane. Non avremmo dovuto volare sin qui. Sono dei banditi, dei ricattatori…
Simone, abbassando il tono della voce, cercò di spiegare qualcosa nel suo dialetto, ma Mario era fuori di sé. All’inizio voleva andare a recuperare i dollari dal responsabile del campo, ma solo quando capì che le banconote verdi erano volate giù insieme all’elicottero e alla donna misteriosa, prese coscienza dell’impossibilità di cambiare il corso delle cose.
– Voi! Voi mi avete tradito! Bastardi, canaglie!
– Non è colpa nostra, Mario, – cercava di giustificarsi Simone.
– Io guadagno… Soldi… A che serve tutto ciò?
– Mario, ma ci serviva arrivare sin qui…, – miagolò debolmente dal suo posto Denis.
– Ci serviva?! – si inalberò Mario, avendo finalmente trovato un oppositore. – Era a loro che serviva! Avevamo già pagato tutto per intero… Nooo, domani stesso prendiamo l’elicottero, e andiamo via di qui.. Diavolo! Voglio indietro i miei soldi.
– Mario, ma dobbiamo scalare le montagne, – non si arrendeva il militare kazaco.
– Ma quali montagne!? Di nuovo non capisci ciò che bisogna capire…
– Io desidero… per tanto tempo ho desiderato questo, Mario, - stringendo i denti, rispettosamente ma cocciutamente ripeteva Denis. – Per favore, non ti arrabbiare!
– Sei un traditore, una canaglia, un furbacchione, un cane zoppo, una bestia! – Mario per la rabbia sembrava trasformato lui stesso in predatore. O, per essere più precisi, in una tigre assatanata presa in trappola. – E io che mi sono messo con voi, fannulloni! Ma che diavolo...
– Visto che siamo volati fin quassù, dobbiamo provare ad andare sulle vette. No?
– Ma quali montagne! Vi siete messi tutti d’accordo! Anche tu sei uno scioperato e un lazzarone. Non combinate mai un tubo! Vi siete tutti messi d’accordo, porco d’un cane!
– Quali montagne! Vi siete messi tutti d’accordo! Anche tu sei uno scioperato e un lazzarone.
– Ma siamo alpinisti, Mario, e adesso questo è ciò che conta.
– Ciò che conta?!! Canaglia! Prima di tutto siamo persone, – Mario sbatté il pugno sul tavolo – Questo è ciò che conta! I rapporti con gli altri, il lavoro, questo è ciò che conta, – prendendo un cucchiaio sporco dal tavolo, lo agitò in faccia davanti a Denis, e con tutte le forze che aveva lo buttò nel catino con i piatti, facendo risuonare il metallo. Sembrava che lo sguardo infuocato di Mario potesse incenerire il militare e cancellarlo dalla faccia della terra. – L’amicizia, le persone, i rapporti, il comfort, la vita! Ecco ciò che conta! – gridava a squarciagola.
Senza togliere lo sguardo dall’italiano, Denis, urtato nei sentimenti più alti, infilò lentamente una mano in tasca. Aleggiò una pausa prima della tempesta, nessuno aveva il coraggio di fare un passo. Tutti trattennero il respiro. Poi il militare, con la stessa lentezza, estrasse dalla tasca un coltello e ne aprì la lama. In un silenzio di tomba, porse il coltello dalla parte del manico a Mario.
– Forza, – disse Denis a bassa voce. – Prendi. Uccidimi perché penso che le montagne sono importanti.
Mario faceva paura. I suoi occhi si allargarono fino all’inverosimile, e in essi fece capolino una forza primordiale, brutale, una furia terribile. Faceva pensare a un mostro selvaggio. Sembrava che dovesse accadere l’irreparabile. Arrossì, poi impallidì, poi arrossì di nuovo, si incupì, sulla fronte le piccole trecce blu delle vene si gonfiarono. Con uno sforzo immenso Mario ricacciò qualcosa dentro di sé, balzò in piedi, diede un calcio allo sgabello facendolo volare in un angolo della stanza in mille pezzi, e infine si precipitò all’aperto. Lo seguì a ruota uno spaventato Simone. Si sentiva ormai lo strepitio farsi sempre più lontano, spesso interrotto dalle grida d’odio dell’italiano più anziano che aveva messo a soqquadro l’intero campo.
Denis con mano tremante appoggiò lentamente il coltello sul tavolo, guardando stupito il riflesso della luce sulla lama, e si lisciò i capelli rizzatisi in capo.
– Eh già, – riuscì a stento a dire, – pare proprio che quest’anno non vedremo il Pik Korzhenevskoj e il Pik Kommunisma.
Andrej, seduto in un angolo, rimase in silenzio, ma dall’espressione di disgusto in volto chiunque avrebbe potuto indovinare che cosa pensasse delle qualità spirituali del proprio compagno e del suo talento diplomatico.
2014-10-24
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